venerdì 30 ottobre 2009
è nato Tijuana Project
Abbiamo deciso di occupare simbolicamente per un giorno ed una notte il complesso ex-CLI (Centro Linguistico Interdipartimentale), in via S.Maria 42.
Stasera, dalle 22.00 festa pirata!
L'ex-CLI, di proprietà dell'università, è abbandonato da anni, nonostante siano previsti lavori di restrutturazione
per la costruzione di una biblioteca universitaria.
Oggi recupereremo parte di questa struttura, per sottrarla alla speculazione edilizia,
per farla rivivere questa notte e riempirla di socialità, sogni e desideri.
Lavori in corso...
Tijuana is here
Time is up, you gonna start the fight...
You tell me that's all right
I'm just gonna leave you
Tijuana is here...
giovedì 29 ottobre 2009
mercoledì 28 ottobre 2009
Pisa como Tijuana. A toda la raça de la frontera.
Dal terzo sermone dell’avanbardo Luther Blisset, Dal centro del mondo a Tijuana.
Benvenuti, potete sganciare le cinture, benvenuti a Pisa.
L’ospitalità non è certo il nostro forte, eppure vi accorgerete presto di non essere i soli a passare di qui, a fermarsi, in attesa di ripartire.
Questa piccola città vi ha attirato, perché giovane e fuori controllo, in una parola universitaria, o forse siete stati costretti a passare, perché non troppo cara. Poco importa, anzi, è meglio che dimentichiate il prima possibile tutto ciò che credete di conoscere su questa città, se non avete ancora capito che Pisa è tutta una frontiera.
Beh, forse la cosa non vi è passata così inosservata: in fondo solitamente si arriva in aereo o dalla stazione, quasi mai in auto, e ci si accorge subito di aver raggiunto un luogo singolare. Se poi vi fermate, certo sempre en passant s’intende, vi renderete conto che in questo piccolo spazio convivono almeno 2-3-mille città.
Innanzitutto c’è Pisa-cittàdellaformazione, universitaria e non, ma abbiamo anche Pisa-città-brand, città del turismo, pisa-cittàdeiservizi, pisacittàdegliospedali, pisa-dellarendita, pisa-culturale, e, non ultima, pisadeimigranti.
L’elenco potrebbe continuare, quello che c’è da segnalare è l’evidenza di una città in cui ognuno è straniero e vive in un suo territorio, spesso separato da quello del piano superiore, che non arriva nemmeno a conoscere. Succede così che uno studente universitario non conosca nulla della Pisa culturale o della pisacittàbrand. Lo si percepisce infatti sempre più, entrando nella zona di campo dei miracoli: qui per lo studente non è aria, perché non potrà mai spendere quanto è necessario.
E così le frontiere si moltiplicano; per governare flussi ingovernabili, per normare un territorio meticcio che vive di una temporalità non lineare, è necessario definire luoghi e non-luoghi delle relazioni, della produzione sociale e del consumo. E’ così che la ristrutturazione produttiva di questa minuscola metropoli passa per la dislocazione urbanistica, e quindi per la costruzione di frontiere.
Ci sono macrofrontiere e microfrontiere: c’è un centro che va ri-spazializzato, con misure di contenimento dei soggetti studenteschi, per far fronte al divenire vetrina-turistica di Pisa. Ci sono i lungarni, da riqualificare in senso culturale come lungarni museali, su cui si dovrà dislocare la produzione artistica cittadina. C’è l’area del transito, che va dall’aeroporto alla stazione. C’è l’area dei servizi in espansione verso est, che si sta preparando ad una nuova ristrutturazione che vi introdurrà un ospedale “di alto livello”, ci dicono, uno dei principali in Europa.
No, non possiamo limitarci a questa narrazione per comprendere la città che conosciamo: questa mappatura della valorizzazione produttiva si accompagna ad altre mappe, che mostrano come questo processo sia attraversato e ridefinito dai conflitti. Vorremmo continuare a tracciare queste mappe, vorremmo fornire strumenti in grado di qualificare i conflitti, di farli venire a galla.
Così succede che, dentro una delle più aspre microfrontiere, Piazza delle Vettovaglie, il simbolo della vita notturna del precariato giovanile, in questo luogo fino in fondo ingovernabile, la microfrontiera la definisca la capacità delle forze dell’ordine di normare il territorio. Ma Tijuana non si lascia identificare, non ci prenderanno mai..
Questa città è tutta una linea di confine, è tempo di iniziare a mapparla per attraversarla, perché LA TRANQUILLITA’ E’ IMPORTANTE, MA LA LIBERTA’ E’ TUTTO..
Benvenuti a Pisa, Benvenuti a Tijuana
Tijuana è...
martedì 27 ottobre 2009
SULLA FRONTIERA...
OTTOBRE 2009
Su di un tetto guardare la città, le sue piazze, le sue strade
Cuffie alle orecchie,
Tijuana è una canzone dal ritmo incalzante
Tijuana e una città di confine,
ma il confine si sgretola, tutto diventa frontiera,
terra da conquistare
e in mezzo a quella terra c'è Tijuana.
SETTEMBRE 2009
Per tutti quelli della sua età quello era stato l’anno dell’onda, anno di
occupazioni e cortei, blocchi stradali slogan e assemblee, era stato l’anno
che aveva coinciso con la presa di parola di un’intera generazione che non
solo non aveva mai visto gli anni settanta, ma che in gran parte Genova
l’aveva vissuta solo in televisione.
19 MAGGIO 2009
500 metri dalla zona rossa. Camminare per le vie di Torino.
Ripensare all’inizio. La legge 133, una frana investe l’Università.
Un’assemblea in Piazza dei Cavalieri, enorme.
Ricordare migliaia di studenti, ricercatori, tecnici amministrativi, docenti
che intervenivano e proponevano strategie di resistenza alla legge 133.
Ricordare la fine dell’assemblea, l’occupazione del Polo Carmignani.
La frana ha scatenato uno tsunami. L’inizio dell’Onda Anomala.
Ricordare settimane di occupazioni e cortei, ricordare un’intera città che
si faceva comunità. L’onda cresceva.
300 metri
Passeggiare per le strade di Torino. Lo sguardo a cercare i suoi compagni.
Voler sentire il loro sguardo su di sé, voler sapere che non era solo.
Sapere che se a cinquecento metri c’è la polizia ad aspettarli non è da solo
ad affrontarli. Voler sentire che tutto ciò che sarebbe arrivato nasceva da
una decisione collettiva, dalla voglia e dalla gioia di oltrepassare
qualsiasi zona rossa.
Trovarsi qualche centinaio di agenti in assetto antisommossa pronti a farti
a pezzi non è che lo mettesse proprio di buon umore anzi.
200 metri, una svolta e ci siamo.
Pensare alla Sapienza, l’edificio storico dell’ateneo pisano. Quell’edificio
qualche mese prima lo aveva occupato insieme ai suoi compagni.Pensare al’invasione di quell’edificio. Ricordare la presentazione di un libro
mediocre di un mediocre personaggio come Marcello Pera. Ricordare la polizia
che bloccava l’accesso. Ricordare la sua generazione che scandiva
all’unisiono: “Gioiosi-Gioiosi..” Ricordare di aver imparato che non è
assolutamente vero che i manganelli si piegano al contatto col cranio.
Ricordare che, a volte, la dignità può essere calcolata in quanti metri
concedi..
Si diceva che potevano anche essere considerati intolleranti, ma come era
possibile permettere che un luogo che solo qualche mese prima era un luogo
libero, produttore di resistenza alle riforma e di socialità ora fosse un
luogo che dava accoglienza al peggiore oscurantismo religioso?
100 metri
“Andiamo dai che andiamo”. Alzare gli occhi. Vedere come “il centinaio di
poliziotti” che immaginava fossero in realtà un esercito, dispiegato per
tutte le vie circostanti, con i blindati e tutto l’equipaggiamento per l’occasione. Per qualche momento sentire le gambe che tremano e la paura che gli invade il cuore e la
testa. Per qualche secondo pensare che se adesso avesse le forze per
muoversi incomincerebbe a scappare. Sentire la stretta alle braccia dei
suoi compagni. Girarsi. Volti coperti. Sguardi amici. Si va.
Sentire le urla del corteo. Un urlo unico. “Non abbiamo paura..”
Sentire un sorriso che gli affiora alle labbra. “Porco dio è un anno che
lottiamo e non saranno tutti questi poliziotti a farci paura.”
75 metri
Ricordare qualche mese prima, il giro di boa delle vacanze natalizie. In
molti avevano predetto che quel movimento non sarebbe durato, in fondo. Ci
aveva creduto anche lui. Era già capitato e stava nell’ordine delle cose
che dopo mesi di mobilitazione, le vacanze e poi tutti a casa. Gli esami e
le lezioni avrebbero vinto, alla fine. Ricordare come aveva capito.
Ricordare il dopo. Nessun riflusso. L’entusiasmo all’onda.
Rendersi conto che anche se passavano i mesi non era finito nulla, che la
voglia di mobilitarsi rimaneva e anzi aumentava di qualità. Viveva la
rivincita di una generazione. La rivincita della sua generazione. La
rivincita contro tutti quelli che negli anni precedenti avevano teorizzato
la loro incapacità a sognare.
Costruire un’Università autonoma e libera era questo. Era il loro modo di
vivere i sogni.
50 metri
Vedere i poliziotti. Si stanno preparando ad avanzare. Alla sua sinistra
si montano gli scudi.
Finalmente gli scudi.
Fa caldo. Sudore sotto il fazzoletto e il casco. Fa caldo e non c’è parte
del corpo che non sia ipersensibile. Fa caldo e se qualcuno gli
domandasse: “Perché lo stai facendo?” Non avrebbe
altro da rispondere: “Perché No?”. Spiegare che la nostra è una
generazione senza futuro. Già precaria. Una generazione sfruttata ogni
volta che fa uno stage e non viene pagata, ogni volta che ciò che studiamo
non serve ad un cazzo. Spiegare che ci aumentano le tasse universitarie
perché i bilanci non tornano. Spiegare che a un colloquio ci dicono “No
grazie sa è un periodo di crisi non assumiamo nessuno, però se vuole può
fare un periodo di prova non pagato.”
25 metri
Dare un ultimo sguardo alle sue spalle. Il cuore è scaldato, più del sole
di Torino. Il corteo è ancora tutto là, nessuna divisione tra i cordoni e
il resto, tutti lì ad avvicinarsi alla zona rossa.
“Va bene, ci siamo”. Guardare il suo cordone e sapere che sotto i
fazzoletti ci sono dei sorrisi.
Sotto i caschi cervelli che sperano, amano e sono pronti a lottare.
0 metri
Di ciò che è successo dopo porta con sé ricordi difficilmente esprimibili
se non in sensazioni. La gioia di vedere che la polizia non riusciva ad
avanzare, la rabbia nel respingere le cariche e i lacrimogeni, il corteo
che non si scompone ma rimane lì a dimostrare tutta la propria dignità,
gli occhi che piangono avvelenati dai CS, le barricate con i cassonetti. La
felicità nel ritornare tutti insieme con una vecchia canzone da discoteca
di sottofondo.
Gli interventi dal camion che da ogni città ripetevano: “quello che
abbiamo vissuto oggi è l’onda perfetta.”
6 LUGLIO 2009
Qualche mese dopo, da vigliacchi come è capace di fare solo chi comanda,
studenti come lui che avevano vissuto le giornate di Torino erano stati
arrestati all’alba e incarcerati con accuse che dimostravano come c’era,
ancora, chi dell’onda non aveva capito semplicemente un cazzo. Su un
teorema accusatorio, smontato dopo poche settimane con la liberazione di
tutti gli studenti, si era cercato di criminalizzare un movimento
straordinario come pochi se n’erano visti in italia negli ultimi anni.
L’Onda perfetta non si arresta.
Ancora una volta l’onda aveva dato la sua risposta di massa e senza paura,
occupando i rettorati in tutta Italia, dicendo ancora una volta, non è
finita qui..
OTTOBRE 2009
Ministri indossano giacche per la TV. Rassicurazioni. La crisi passerà. La
crisi è finita.
Guardarsi intorno: non c’è niente di pacificato. Lo senti. Essere ancora
nelle facoltà occupate.
Essere ancora tra le strade di Torino. Essere ancora tra i campi di Vicenza.
La crisi non è finita. Ancora non è finito nulla.
Il meglio deve ancora venire.
È arrivata Tijuana.
Tijuana è uno sguardo perso di fronte al mare, surfisti inginocchiati sulla
spiaggia a prepararsi per nuove onde e mareggiate. Tijuana è la tensione
delle gambe sulla tavola, l’ultima boccata di ossigeno prima dell'acqua
dell’oceano.
Tijuana è l'arte che esce dai musei, è cultura collettiva, è il genere
contro il sessismo, è la ricerca continua. Tijuana è rivolta.
Tijuana è la frontiera tra l'università e la città, corpi veloci che si
muovono evitando lo sfruttamento,corpi che resistono e si moltiplicano.
Tijuana è la dignità e la libertà di fronte alla barbarie. La rabbia per
le strade di Torino o i campi di Vicenza. Sono gli occhi contro quelli di uno
sbirro, il sorriso sotto il fazzoletto che copre il volto, dieci metri
prima dell’impatto, scarica di adrenalina nel cervello.Qui non si arrende
nessuno.
Tijuana è autoformazione e conflitto sui saperi, qualità e cooperazione
contro la meritocrazia. vite e corpi che non vogliono pagare la crisi.
Tijuana è una festa e un ballo illegale, corpi che si amano e si cercano,
desiderio e passione, tutto ciò che non puoi controllare..
Dal centro del mondo a Tijuana
Terzo sermone dell'avanbardo Luther Blissett, radiotrasmesso alle 23.55 del 25 ottobre 1995 sui 96.3 e 107.05 Mhz della zona di Bologna.
Fratelli e sorelle, il sermone della scorsa settimana vi esortava ad abbandonare le rovine fumanti di quel fortilizio che papi, imperatori e filosofi chiamarono "il Centro del Mondo". Prima che l'orda di nomadi giungesse dal deserto, molti di noi erano come Dick Thornton nel finale de Il mucchio selvaggio di Peckinpah: se ne stavano seduti tra le pozzanghere di sangue e i corpi che marcivano al sole, in bilico sull'ultimo minuto dell'epilogo di una vecchia storia. L'orda arrivò, e il suo nome era Luther Blissett [Halleluja!]. Essa disse: "Non prolungate l'agonia, e non cercate di ritardare la fine di ciò che eravate e che non siete più! Alzatevi, ed entrate in un nuovo prologo! [Halleluja!] Vi sono un'infinità di azioni da compiere, situazioni da creare, assalti, scorribande, fughe! Alzatevi, e divenite altro da voi!" [Halleluja!]
NOI siamo quei nomadi, NOI siamo Luther, noi siamo la fine dell'epilogo e l'inizio del nuovo prologo. Ora ci muoviamo in un paesaggio archetipico, come un deserto messicano: il territorio è tutto una linea di confine, sulla quale si producono gli eventi; nulla avviene nei villaggi, solo lo spazio tra di essi conta, la linea è più importante dei punti che essa congiunge, e il confine passa ovunque, si è sempre sul confine, ogni città è come Tijuana. In parole povere, fratelli e sorelle, noi camminiamo su un traballante ponte di corda, sospeso su una corrente impetuosa e oscura; questo ponte è gettato tra le situazioni della nostra vita, tra gli orli dei baratri dei nostri amori, tra le nostre esperienze e paure. Ad ogni nostro passo vediamo trasformarsi le due sponde, non sono mai le stesse: dietro di noi non c'è più la sponda da cui ci avventurammo sullo strapiombo; di fronte a noi non c'è più la sponda a cui eravamo diretti; il fiume che corre sotto di noi non è mai lo stesso fiume. Che elettrizzante sensazione muoversi su quell'arco avanzato, fratelli e sorelle! Non è giungere all'altra sponda la cosa più importante, ma spostarci sul confine e oltre esso, sconfinare. Che importa se la sponda davanti a noi è come avvolta da una densa nebbia, o se il ponte ondeggia scosso dal vento, o se crolla, o se brucia alle nostre spalle. Cadere nel fiume è forse la fine del nostro viaggio? [in coro: No!!!] Cadere non è mai la fine, perché il fiume in cui cadiamo non è lo stesso delle cui rapide, pochi istanti prima, solo il pensiero ci terrorizzava! Ecco, cadiamo, siamo caduti, e nuotiamo riguadagnando una riva: non è la stessa da cui proveniamo né quella che ci attendeva oltre il ponte, ma che importa, fratelli e sorelle? Saliremo su un nuovo ponte di corda, cavalcheremo un nuovo strapiombo, e andremo incontro a nuove situazioni, a nuove catene di affetti, a nuove paure!!! [3 volte Halleluja!]
È questo movimento che Luther chiama amore, fratelli e sorelle. È su quel ponte, inarcato verso il possibile, che noi AMIAMO. Non ci si "rifugia" nell'amore, non ci si "consola" con l'amore, l'amore lo si incontra quando il tempo vacilla sin dalle fondamenta, e per l'ennesima volta sentiamo farsi strada nella foschia l'eco del grido della nascita! [Halleluja!] Solo vincendo la paura della paura si giunge in prossimità dell'amore: niente di più semplice che intimorire quanti sono persuasi che la loro identità vada "difesa", e che non ci si debba avventurare sul ponte bensì eleggere a "Patria" e presidiare l'ultimo lembo di terra prima del baratro. I nuovi padroni di schiavi lo sanno, ed è per questo che danno tanta importanza all'identità: per impedire che gli schiavi fuggano sfidando lo strapiombo, nascendo a nuova vita, coi sensi meravigliosamente vigili eppure inebriati di gioia e di potenza! L'Internazionale Monoteistica vuole riconfinarvi al Centro del Mondo, su quel bastione dove vi credevate inattaccabili e liberi dalla paura, e che era invece una prigione dove Dio vi imbottiva di ansiolitici e di bromuro.
Fuggite dal manicomo dell'Io, fratelli e sorelle! Andate alla deriva, sfidate le gole e i canyons! [Halleluja!] Non dovete desiderare di liberarvi della paura: senza quei segnali d'allarme, senza quegli squilli di tromba che annunciano: "Ed ora, un pericolo completamente diverso!", non c'è amore, c'è solo la dittatura analgesica, un salottino di sentimenti rattrappiti, l'Eden piccolo-borghese del Prozac! Che i vostri Halleluja! salutino questa nuova consapevolezza, fratelli e sorelle: è necessaria una nuova concezione dell'amore, ben lontana dagli sbiaditi concetti che fino a ieri associavamo a questa parola. Ma ciò presuppone che non ci si accontenti di sopravvivere, e si sia invece disposti a VIVERE!!! [3 volte Halleluja!]
lunedì 26 ottobre 2009
30/10 FESTA PIRATA. PISA COME TIJUANA
In viaggo verso Tijuana, in viaggio verso Pisa.
Coming soon...